Articolo di Sofia Lincos e Roberto Labanti
Venticinque anni fa, il 19 settembre 1991, i coniugi Erica ed Helmut
Simon trovarono un corpo mummificato nei pressi del ghiacciaio del
Similaun, al confine tra Italia e Austria, e più precisamente fra la Val
Senales e l’Ötztal: dal nome di quest’ultima i resti vennero
soprannominati “Ötzi”.
Il recupero si presentò fin da subito abbastanza complesso:
inizialmente si pensò di essere di fronte a quanto rimaneva di un
alpinista disperso, e il primo tentativo di una squadra di soccorso
austriaca non ebbe successo. Il 21 il corpo venne raggiunto dagli
alpinisti altoatesini Hans Kammerlander e Reinhold Messner, e il 23
avvennero finalmente il recupero e il trasporto a Innsbruck, con
modalità non ottimali che danneggiarono il reperto.
La mummia venne identificata con quella di un uomo vissuto nell’Età
del Rame (tra 5100 e 5300 anni fa), e per un po’ rimase contesa tra
Italia e Austria: anche se venne immediamente stabilito che la scoperta
era avvenuta, seppure per meno di 100 metri, al di qua del confine
italiano, ci vollero diversi anni perché la mummia tornasse in Italia.
Solo nel 1998, infatti, Ötzi potè prendere posto in una cella
frigorifera del Museo Archeologico dell’Alto Adige di Bolzano, fatta
costruire su misura per lui.
Sulla sua scoperta aleggia, da un po’ di tempo, l’ombra di una
maledizione: Ötzi avrebbe punito con una morte prematura le persone che
ne avrebbero turbato il sonno. A rafforzare questa idea contribuisce
sicuramente l’ipotesi che l’uomo sia stato, in vita, una sorta di
sciamano; ma, come fa notare anche il sito del museo che ne conserva le spoglie, “a suffragio di quest’ipotesi non ci sono indizi”.
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