Sono secoli che studiosi, filosofi, scienziati e letterati
tentano inutilmente di ricollocare il mitico continente di Atlantide
nella geografia interpretando ora Platone ora tutte le leggende
mediterranee che ne hanno fatto il proprio fulcro, e sono secoli che
ogni tentativo viene frustrato da mancanza di prove concrete, ma anche
solo di indizi, testimonianze, idee. Sembra che oggi si sia sul punto di
arrivare a uno stravolgimento delle convinzioni tradizionali e che una
nuova luce possa essere gettata sulla madre di tutti i miti e sulla
nostra stessa genesi come popolo italico. In questa, che è soprattutto
un'operazione culturale, giocano un ruolo da protagoniste l'archeologia e
la geologia --oltre alla rivisitazione storica e filologica-- in un
recupero del metodo scientifico come approccio risolutivo anche per le
questioni apparentemente solo umanistiche o sociali.
Di volta in volta l'isola di Santorini, le isole britanniche, le
Azzorre e le Canarie (e recentemente anche l'arcipelago nipponico o le
coste turche) sono stati i luoghi maggiormente indiziati come gli ultimi
retaggi del continente perduto narrato da Platone nel Crizia e nel
Timeo. Protetta da mura circolari di metallo e dotata di grande
disponibilità di beni naturali, beneficiata da raccolti tre volte
all'anno e da minerali preziosi del sottosuolo, Atlantide era una terra
promessa situata al di là delle Colonne d'Ercole. Già, ma dov'erano
quelle mitiche colonne 2000 anni fa? Oggi tutti le collocano a
Gibilterra, ma le analisi dei testi precedenti la nuova geografia di
Eratostene --il primo a destinarle fra Spagna e Marocco -- dimostrano
che c'era molta confusione su dove piazzare i limiti del mondo quando la
geografia non la facevano ancora i greci, ma i fenici e i cartaginesi,
eredi di quegli antichi popoli del mare di cui si erano perdute le
tracce dopo un avvenimento catastrofico (Atlantide non si è a un certo
punto clamorosamente inabissata?).
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